Covid permettendo, il 24 gennaio prossimo il nostro Parlamento è convocato, in seduta comune, insieme ai delegati regionali, per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica. E’ dunque tempo di bilanci per la gestione uscente. Come è naturale che sia la maggior parte dei commentatori ha concentrato la propria analisi su una valutazione del lavoro politico svolto da Sergio Mattarella. Il giudizio che ne è scaturito è complessivamente molto positivo. Né poteva essere altrimenti. Sono stati sette anni impegnativi e a tratti molto stressanti (quattro governi e una pandemia senza precedenti) che il Presidente uscente ha governato con acume, equilibrio ed efficacia, dimostrando nella quotidianità di quale alta statura politica, morale e umana sia dotato l’uomo. Tuttavia il settennato di Mattarella a nostro giudizio passerà alla storia anche per una “rivoluzione” che non tutti hanno colto. Ci riferiamo alla rivoluzione amministrativa portata avanti dal Segretario Generale Ugo Zampetti. Proviamo dunque a ripercorre alcune delle tappe di questi cambiamenti profondi e poco conosciuti adottati dal segretariato uscente.
La gestione della cosa pubblica in Italia, soprattutto quando si parla di apparati pubblici, gode di cattiva fama. La massima di Alexandre Dumas figlio, “Il dovere è ciò che si esige dagli altri” ben descrive l’attitudine di una serie di categorie privilegiate che spesso si dimostrano inflessibili nei confronti del pubblico e accomodanti verso sé stesse. Una delle prime mosse attuate da Zampetti è andata in questa direzione. Partire dalla massima istituzione della Repubblica per dare un segnale a tutto il Paese.
Il Segretariato generale del Quirinale, naturalmente con l’avvallo del Presidente, ha messo in atto un’operazione che di fatto ha sancito la fine di un antico privilegio riservato agli alti dirigenti dell’istituzione: l’eliminazione degli alloggi di servizio allocati nello storico Palazzo San Felice, un edificio di una certa magnificenza che si erge in via della Dataria, di fronte al Quirinale e accanto alle Scuderie. È così che 43 alloggi, sono rientrati nella disponibilità della Presidenza della Repubblica. Quella degli alloggi di servizio era un’antica consuetudine del Colle. Privilegio di cui hanno goduto anche i predecessori di Zampetti, per intenderci, Gaetano Gifuni e Donato Marra. Zampetti ha cominciato l’operazione dando il buon esempio, rinunciando lui stesso all’alloggio di servizio e rinunciando anche alla sua residenza all’interno della Tenuta di Castelporziano, che è stata così assegnata ad una iniziativa sociale destinata agli anziani ed ai disabili. Ma il progetto Palazzo San Felice è di più ampio respiro. Oltre alla ripresa dell’immobile da parte dell’amministrazione, prevede infatti anche la ristrutturazione e la restituzione alla fruizione pubblica.
Parte così il progetto, affidato all’archistar Mario Botta, per la realizzazione della nuova Biblioteca di archeologia e storia dell’arte. Al momento la consegna dei locali è già avvenuto e i lavori verranno ultimati nel 2024 data in cui la biblioteca, fino ad ora ospitata a Palazzo Venezia, potrà tornare a nuova vita. È un’operazione di principio, perché mette fine ad un sistema di affitti agevolati inopportuno, ma è soprattutto una operazione di grande valore culturale, tant’è che il Quirinale l’ha gestita insieme al dicastero competente, quello di Franceschini.
Oltre a quelli etici, gli aspetti culturali positivi di questa operazione sono molteplici. A Palazzo Venezia, la biblioteca, una delle più importanti del Paese, viveva in sofferenza. Era mal esposta, quindi poco accessibile e, per alcuni versi, metteva anche in pericolo parte del suo patrimonio. A Palazzo San Felice invece troverà una collocazione di grande valore architettonico che premierà la qualità e la fruibilità dei contenuti. Parliamo, per intenderci, di 400mila volumi tra cui incunaboli, cinquecentine, seicentine, 3.500 testate di periodici, 20.700 incisioni, disegni e fotografie, 2.000 manifesti teatrali, 66.000 microfiche, 400 cd-rom, 1.600 opere manoscritte e oltre 100mila carte di fondi archivistici. Insomma, un tesoro. Un vero simbolo della straordinarietà del patrimonio culturale nazionale. Per altro è da sottolineare come l’architetto Botta abbia donato il suo lavoro.
Se il Presidente Mattarella ha contrassegnato il suo settennato, giocando il ruolo dell’arbitro costituzionale irreprensibile, del padre nobile che incarna lo spirito dei fondatori e che ad ogni crisi, politica o sanitaria che sia, risponde sempre trovando la migliore soluzione per il Paese e per le istituzioni difendendo gli interessi di tutti, Zampetti segna la propria Segreteria generale al Quirinale nel solco che gli è più caro e che caratterizza tutta la sua carriera: servire lo Stato nel migliore dei modi possibili, restando fedele alle istituzioni prima ancora che agli uomini e, soprattutto, portando a casa risultati veri sempre di interesse pubblico. Quel valore aggiunto, concreto e misurabile, che fa sempre la differenza.
Questi sette anni al Quirinale rappresentano il culmine di una carriera da “civil servant” che non ha uguali. Zampetti, nel lontano 1999, viene nominato Segretario generale della Camera dei Deputati. In quel ruolo ha collaborato con cinque presidenti, provenienti da altrettanti partiti: Luciano Violante, Pier Ferdinando Casini, Fausto Bertinotti, Gianfranco Fini e Laura Boldrini. Ha lavorato con tutti loro con il solito spirito di servizio e la consueta efficacia, ammodernando la Camera dei deputati dalla sua struttura fisica ai regolamenti. Un percorso che, nel suo genere, ha fatto la storia.
Al Quirinale arriva che è già in pensione, ragione che gli fa rifiutare qualsiasi forma di compenso aggiuntivo previsto in passato per il Segretario generale. La sintonia con il Presidente Mattarella, al quale è legato da un rapporto di stima professionale ed umana trentennale, è totale. Ed è proprio questo afflato, questo continuo sostegno del Presidente che gli consentono di attuare la sua “rivoluzione”. Il fare di Zampetti ricorda un adagio di George Eliot, pseudonimo al maschile di quella raffinata scrittrice di epoca vittoriana che è stata Mary Evans Cross: “La ricompensa per chi adempie ad un dovere è la capacità di adempierne un altro”.
Dopo l’operazione Palazzo San Felice, Zampetti parte alla carica per un secondo progetto culturale di portata epocale: “Quirinale Contemporaneo”. Intendiamoci, l’attività del Segretariato generale è costellata da decine di piccoli e grandi recuperi, restauri, messa in sicurezza, riaperture: dal portale d’ingresso di Porta Dataria al muraglione e il portone d’ingresso di Porta Panetteria. Oppure il restauro e la riapertura di Porta Quirinale, così come il restauro e l’adeguamento impiantistico di quattro prestigiosissime sale (delle Stagioni, degli Scrigni, del Bronzino e della Rappresentanza). Così come segno di grande attenzione alle tematiche sociali è stato l’inserimento di un nuovo ascensore all’interno del percorso per anziani e disabili. Insomma, sono veramente tanti gli interventi realizzati per restituire splendore, sicurezza ed efficacia al Complesso del Quirinale.
Tuttavia, dopo il recupero di Palazzo San Felice, è Quirinale Contemporaneo l’altra pietra miliare della “rivoluzione” gestionale realizzata sul Colle. Come dicevamo, questo è un evento memorabile, una di quelle pagine che resterà nei libri di storia dell’arte e forse anche nella storia del Paese. Ne ho scritto tante volte, perché sin dalla sua prima edizione ne sono rimasto colpito. Le ragioni sono queste. Prima dell’avvento del duo Mattarella Zampetti le porte del Quirinale erano rimaste chiuse sia al moderno che al contemporaneo. Una scelta assurda. Era come se la Presidenza della Repubblica implicitamente convalidasse quel sentito diffuso in certi ambienti, e prevalente a livello internazionale, secondo il quale l’Italia dell’arte fosse soltanto quella classica. Qualche anno fa andai a trovare il professor Louis Godard, Consigliere del Presidente della Repubblica per la conservazione del patrimonio artistico della dotazione presidenziale. Andai come editore di Inside Art e fondatore del Talent Prize mettendomi a disposizione dei suoi uffici per provare a dare spazio all’arte contemporanea e soprattutto ai talenti emergenti. Mi fu risposto che il Quirinale non trattava il contemporaneo. Sic et simpliciter. Ne uscii sconsolato.
Quirinale Contemporaneo, Quirinale Contemporaneo, un’idea tutta di Zampetti condivisa con il Presidente Mattarella, ha oggi alle spalle tre edizioni. La curatela è affidata a Cristina Mazzantini che, nonostante le naturali complicazioni iniziali e la pandemia, ha mantenuto la barra dritta portando sul Colle veramente il meglio dell’arte contemporanea e del design italiano. Un lavoro enorme. Se vi capita di visitare Quirinale Contemporaneo, e ve lo consiglio, capirete anche senza essere esperti della qualità e della vastità del lavoro fatto. C’è il meglio del meglio e come se non bastasse molti dei lavori presenti sono stati donati alla Presidenza della Repubblica. Tanto per fare un esempio, tra le donazioni figura un lavoro del meranese Rudolf Stingel, una vera star internazionale, il cui valore è di almeno tre milioni di euro.
Il moderno e il contemporaneo sono dunque sdoganati. Finalmente le porte del Palazzo si aprono anche a loro. Ma non è solo questo: con le donazioni arrivate dal meglio della produzione del design italiano, dalle lampade ai divani, dalle sedie all’illuminotecnica, Mazzantini risistema e riammoderna tutto il Palazzo riportandolo a nuovo e creando di fatto valore reale per la proprietà. Insomma, la leva principale usata da Zampetti per segnare la sua epoca è stata la cultura unita alla buona gestione. Un esempio che ci auguriamo faccia tendenza.
Esaminare il settennato di Mattarella da una angolatura più ampia non può però prescindere dal mettere l’accento su un’altra figura che è stata fondamentale nel costruire il successo di un intero mandato. Mi riferisco a Laura Mattarella, la first daughter, come direbbero gli americani. Laura è una donna raffinata, dotata di un’eleganza naturale che da subito l’ha messa in splendida luce nel gestire il suo ruolo accanto al presidente. Ma è anche un’avvocatessa amministrativista, una moglie e la madre di tre giovani e splendidi figli.
Avvocato, moglie e madre. Tre ruoli che lei adora ma che ha messo da parte per senso del dovere, per soddisfare la richiesta paterna ma certamente per un rispetto profondo dell’istituzione che il padre rappresenta. Soltanto sguardi superficiali non possono comprendere cosa significhi lasciare la propria vita per dedicarsi ad una missione che in fondo non è la propria. Laura Mattarella ha svolto la sua parte alla perfezione. Interagire con le altre first ladies è un affare di Stato. Farlo bene significa rendere un servizio importante alla propria nazione. Laura l’ha fatto con sobrietà, con discrezione, con grande professionalità.
Uno delle prime volte che l’incontrai fu durante una visita di Stato in Camerun. Alla cena offerta a Yaoundé dal Presidente Paul Biya alla delegazione italiana vi erano circa 600 ospiti. Il tavolo presidenziale era in alto e guardava la sala dove sedevano gli invitati. Io ero li sotto, non vicinissimo ma li vedevo bene. Fu un pranzo lungo, stancante. Fu in quella circostanza che forse per la prima volta ho compreso il valore di quella donna così discreta ed elegante che sapeva unire compostezza e resilienza e sommarle ad una ottima capacità di conversazione. Doti che hanno contrassegnato il suo di settennato chiusosi, ed anche questo è un successo, senza una minima sbavatura.
La grandezza della Presidenza di Sergio Mattarella è senza dubbio figlia della sua statura di costituzionalista, di politico e di uomo ed è misurabile anche grazie al coefficiente di difficoltà delle prove che ha dovuto superare. Ma, come ho ripetuto, è data anche dalla sua capacità di scelta della squadra. La perfezione di Laura, la competenza, la vastissima esperienza e l’etica repubblicana di Zampetti, il credere nella cultura come strumento migliore per connotare il suo mandato, sono tutti elementi che costituiscono l’impalcatura di una presidenza memorabile.
L’ultima volta che ho visitato Quirinale Contemporaneo ho avuto occasione di salire sul Torrino, il punto più alto del Complesso e della città, la vista più bella di Roma. Guardando in direzione di Fontana di Trevi ho scorto su un palazzotto tra i più vicini al Quirinale un lenzuolo bianco messo in bella vista con su scritto “Sergio rimani”. Il popolo chiama ma Sergio ha già detto che non è giusto rimanere e che lui se ne andrà. E, naturalmente, c’è da credergli. Speriamo che il parlamento sappia tenere a mente il suggerimento di Pietro Calamandrei quando diceva che “la Costituzione dev’essere presbite, vedere meglio da lontano” e speriamo che chiunque salga sul Colle riparta dal lascito di Mattarella.
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