Intervista a Luigi Manconi: “Cartabia sbaglia, garantisti e giustizialisti non si possono paragonare”

Per il professor Luigi Manconi, già docente di Sociologia dei fenomeni politici, già presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, editorialista di Repubblica e La Stampa, il garantismo e un sistema di regole che «deve valere, nella stessa identica misura, per l’innocente e per il colpevole. Dunque, anche per il responsabile delle azioni più riprovevoli. Proprio perché, in questa sua imparzialità e assolutezza, risiede la sua forza».

La Ministra della Giustizia Cartabia ha invitato a non far «diventare un derby, esasperando le posizioni per vedere chi ha la meglio» «la dialettica tra giustizialisti e garantisti». È d’accordo?
Ieri, leggendo un quotidiano, mi è venuto da piangere: si parlava di “partiti ipergarantisti”, a proposito di Forza Italia, Lega e Italia Viva. Pensi quale slittamento del linguaggio e quale alterazione del senso abbia raggiunto il discorso pubblico. Oggi, la Lega è, forse più di Fratelli d’Italia, un partito compattamente giustizialista; il leader di Italia Viva è lo stesso che propose il procuratore Nicola Gratteri come Ministro della Giustizia, e non è la sua sola responsabilità; Forza Italia è l’espressione, per così dire, più luminosa del “garantismo classista” che, per sua natura, è la negazione del garantismo stesso. Questo, infatti, o è un assoluto o non è. Ma per rispondere alla sua domanda, dico che considero Marta Cartabia, se posso permettermi, un’amica e, allo stesso tempo, una speranza e un’opportunità. Si dovrà a lei se si riuscirà a ottenere una decorosa riforma della giustizia. Eppure, trovo quella frase un errore. Garantisti e giustizialisti, infatti, non costituiscono due categorie opposte e speculari. Il garantismo è l’espressione del dettato costituzionale e di una concezione illuminista e liberale del diritto. Il garantismo è dalla parte della legge, delle sue forme e delle sue regole. Il giustizialismo è un’idea regressiva, che nega la Costituzione e che può diventare patologia emotiva e pulsione nevrotica. E si manifesta spesso come sordo umore collettivo, rancore sociale e voglia di rivalsa. Dunque, non c’è alcun derby e nemmeno uno scontro politico tra due schieramenti. Il garantismo è in primo luogo rispetto intransigente delle regole. Ma non si può ignorare che, a ispirarlo, c’è una opzione culturale e morale, che è tale perché pone al centro la persona, la sua dignità inviolabile e i suoi diritti irrinunciabili. Per questo, è una scelta molto difficile, direi ardua, che non vale una volta per tutte. È, piuttosto, una conquista. A me è capitato, più di una volta, di non essere garantista, e me ne sono pentito. Pentito in senso proprio. Circa trent’anni fa, scrissi un articolo sciagurato contro Bettino Craxi, criticato non per i suoi tantissimi errori, ma per la sua figura, il suo carattere, la sua personalità. Il fatto che, talvolta, mi venga ancora rimproverato, è per me una sorta di espiazione. In altre parole, se volessi tentare una definizione, direi così: il garantismo è l’impegno alla piena applicazione di tutti i vincoli e le prescrizioni dello Stato di diritto e, in particolare, del quadro di tutele assicurate al cittadino nei confronti di tutte le istituzioni dello Stato nel corso delle diverse fasi del processo. In questo senso il garantismo si collega alla tradizione classica del pensiero penale liberale ed esprime l’istanza, propria dell’illuminismo giuridico, della minimizzazione del potere punitivo, per il massimo rispetto possibile dei diritti di ognuno.

Crede nella presunta svolta garantista di Luigi Di Maio?
Io, ovviamente, non indago le coscienze. Penso che quella lettera di scuse verso l’ex sindaco di Lodi sia stato un atto politico importante. Ma non posso dimenticare che viene dopo quindici anni di giustizialismo militante e che, finora, non ha avuto alcun seguito. Per capirci, non ha modificato la posizione del partito di Di Maio nei confronti di quell’obbrobrio giuridico che è l’attuale prescrizione. Ed è stato Di Maio a definire “Taxi del mare” le ONG del soccorso nel Mediterraneo.

Dopo le parole di Di Maio è intervenuto il segretario del Pd Enrico Letta: «Basta guerra dei trent’anni tra giustizialisti e impunitisti».
Letta voleva sottrarsi a quella stessa contrapposizione fittizia tra garantisti e giustizialisti, ma il risultato non mi sembra soddisfacente. Certo, in Italia, come ovunque, è assai diffusa la voglia di impunità, ma non mi sembra abbia mai assunto la consistenza e l’identità di uno schieramento ideologico. In realtà, l’impunitismo è la tentazione di chiunque abbia commesso reato. Ma stiamo attenti a non fare confusione: il garantismo deve valere, eccome, anche per il colpevole. Ed è proprio qui che si misura l’autenticità della posizione garantista, che – di conseguenza – è altra cosa dall’innocentismo, dal colpevolismo e, infine, dall’impunitismo.

Secondo lei l’osmosi tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle in tema di giustizia che direzione sta prendendo? Chi sta influenzando chi? Oppure sono due realtà identiche, da sempre attraversate da potenti pulsioni giustizialiste?
Per usare le sue parole, il M5s ha fatto tutt’uno con la pulsione giustizialista lungo l’intera sua vita politica. Il Pd è ben altra cosa: la componente garantista, certo minoritaria, è sempre stata vivace e battagliera. Purtroppo, spesso, è risultata sconfitta. Ricordo in particolare, come alla fine della diciassettesima legislatura, nel 2018, i coraggiosi provvedimenti per la giustizia e per il sistema penitenziario del Ministro Andrea Orlando furono sospesi, e così non diventarono legge. Una occasione davvero importante buttata via. Quale possa essere l’esito del rapporto tra Pd e M5s, nel procedere della loro alleanza, non sono in grado di prevederlo. Punto sul fatto che l’attuale condizione di smarrimento ideologico e politico dei grillini consenta un loro, almeno parziale, rinnovamento: e che sia il partito di Letta a condizionare quello di Conte, e non viceversa. Sarebbe una vera disgrazia.

Condivide il fatto che alcune categorie di persone siano escluse a prescindere da ogni forma di tutela dello Stato di Diritto? Penso ai detenuti, ai Rom, agli immigrati?
Ripeto: il garantismo o è assoluto o non è. E il garantismo classista, che vedo concentrato in particolare in Forza Italia, è la negazione stessa di una concezione liberale della giustizia. Il garantismo dei ricchi (e dei potenti e dei privilegiati), è qualcosa di insopportabile: perché mai le guarentigie rivendicate giustamente per Silvio Berlusconi, e che la sinistra troppo faticosamente gli riconosce o non gli riconosce affatto, non devono valere per il richiedente asilo? Lo stesso richiedente asilo che, come nulla fosse, ha visto svanire un grado di giudizio nella procedura di ricorso contro il diniego all’acquisizione dello stato di rifugiato. E perché le tre condizioni, tassativamente fissate dal codice per l’applicazione della misura cautelare, diventano labili e non vincolanti quando il custodito è un povero cristo? E c’è un altro esempio dirimente. Ieri, in commissione Giustizia della Camera, è ripresa la discussione su una proposta di legge di Riccardo Magi, in materia di sostanze stupefacenti. Partendo dalla modifica dell’art. 73 del Testo Unico sulle droghe, si interviene per trasformare in fatto di lieve entità una fattispecie penale che produce il maggior numero di ingressi nel sistema penitenziario; e per affermare la non punibilità, anche amministrativa, della coltivazione di cannabis per uso personale. Una classica proposta liberale. Pensi che un quarto di secolo fa, l’allora parlamentare di Forza Italia, Marcello Pera, firmava con me articoli sul Sole 24 Ore, per argomentare il progetto di legalizzazione dei derivati della cannabis. Siccome tutti i lettori del Riformista hanno fatto il liceo classico, potremmo dire: “quantum mutatus ab illo”. Insomma, senza retorica, voglio dire che è garantista chi esige la tutela delle regole e delle forme, sia per Silvio Berlusconi e, mi voglio rovinare, persino per Matteo Salvini, sia per la persona con disturbo mentale, alla quale viene applicato un Trattamento sanitario obbligatorio che assomiglia tanto a un violento fermo di polizia. Ricordo le vicende di Franco Mastrogiovanni, Andrea Soldi e Matteo Tenni.

Renzi nell’aprile 2020 quando per motivi di salute alcuni detenuti dell’Alta sicurezza o al 41bis vennero posti ai domiciliari disse: «Io sono un garantista convinto. Ma essere garantisti non significa scarcerare i superboss». Nunzia De Girolamo, 27 maggio 2021: «Sui casi di violenza sessuale smetto di essere garantista». E potremmo continuare… In politica esiste una vera forza garantista senza il “ma”?
È più interessante, direi, l’affermazione di De Girolamo perché, oltretutto, assai diffusa. Sono garantista, ma: e, poi, di seguito un elenco di deroghe che, a piacere, l’uno o l’altro indicano. Oltre a dimostrare la palese fallacia dell’autocertificazione di garantismo, quelle frasi rivelano, in realtà, un equivoco di fondo. Il garantismo non è, in alcun modo, una dichiarazione di simpatia o di spregio per l’una o l’altra categoria di crimine o di criminale. E, ripeto, il sistema di regole deve valere, nella stessa identica misura, per l’innocente e per il colpevole. Dunque, anche per il responsabile delle azioni più riprovevoli. Proprio perché, in questa sua imparzialità e assolutezza, risiede la sua forza. Ovvero la sua universale validità.

L’aver promosso con il Partito Radicale i referendum sulla giustizia ha portato qualcuno a credere nella svolta garantista di Matteo Salvini. Lei invece come analizza questo dato?
Va da sé che non credo in alcuna svolta garantista della Lega. Allo stesso tempo, tengo molto a dire che non trovo nulla di criticabile nel fatto che il Partito Radicale promuova i referendum unitamente al partito di Salvini. Da sempre i Radicali hanno adottato questa impostazione, rivelatasi spesso proficua. E francamente non mi sento di contestarla: per ottenere risultati condivisibili, e da me condivisi, come quelli perseguiti dai referendum, qualsiasi alleato è il benvenuto.

L’accezione prevalente di garantismo resta negli usi correnti quella di “garantismo penale”. Luigi Ferrajoli ne rintraccia due fattori di crisi: una «una patologica inflazione legislativa, in forza della quale le leggi penali speciali e le figure di reato si contano ormai in decine di migliaia» e «una profonda disuguaglianza penale, forse la più odiosa delle forme di disuguaglianza, attestata dalla composizione sociale della popolazione carceraria» . È d’accordo con questa analisi?
Intanto, quando parla Luigi Ferrajoli, bisogna osservare in silenzio e ascoltare. Il mio garantismo è figlio del suo Diritto e Ragione, pubblicato per la prima volta nel 1989. E già negli anni precedenti Ferrajoli era editorialista della rivista Antigone, che dirigevo insieme a Rossana Rossanda e Massimo Cacciari. Dunque, come non essere d’accordo con le sue parole? È da questa analisi che altri, penso ai miei sodali Stefano Anastasia e Andrea Pugiotto, hanno elaborato la categoria di populismo penale, così adeguata alle nostre società e allo spirito del tempo.