Nonostante il caldo infernale, per i tifosi napoletani è un agosto da brividi. Il rinnovo contrattuale di Lorenzo Insigne langue e pare che per 25 o 30 milioni il presidente Aurelio De Laurentiis lo “infiocchetterebbe”, accompagnandolo alla porta. Sostituire il capitano, reduce dalla sua migliore stagione e dalla vittoria agli Europei, non sarebbe affatto semplice, anche perché il Napoli non ha budget di mercato in entrata. De Laurentiis non ha stanziato un euro per la campagna acquisti e chiede altre cessioni, dopo gli addii di Hysaj, Maksimovic e Bakayoko, per riportare in pareggio un bilancio devastato dalla pandemia e dalla mancata qualificazione Champions.
Il Napoli in realtà è una società finanziariamente solida, senza debiti e con circa cento milioni di utili accantonati che però De Laurentiis intende riservare a se stesso e alla propria famiglia, già tutta a libro paga del Napoli, come buonuscita in caso di cessione. Un problema in più per Luciano Spalletti che già contro l’Ascoli ha visto quanto sarebbero utili un terzino sinistro e un regista e al quale, invece, il presidente ha detto chiaro e tondo che «chi c’è c’è, e chi non c’è non c’è». Brucia il Napoli, nella torrida estate della crisi del pallone, e brucia Napoli ma non per colpa di Lucifero. Il rogo doloso del campo rom di Barra ha provocato una nube pestilenziale che ha avvolto l’intera città. Tra Ponticelli e Fuorigrotta, in una sola notte di agguati camorristici, si sono registrati due morti e tre feriti.
Una processione di illegalità che va avanti da mesi e che pare seguire un’agenda propria, forse più legata alle promesse di fondi e risorse per il risanamento dell’Est e dell’Ovest cittadino che alla campagna elettorale in corso. Le camorre metropolitane, qualunque cosa siano destinate a diventare dopo l’arresto di Maria Licciardi, sembrano sgomitare da tempo per ottenere un posto al sole, in attesa del Recovery Plan. La politica, quella cittadina e quella nazionale, ha il dovere di impedire un nuovo sacco della città e di rendere impenetrabili le istituzioni locali agli interessi criminali. Un Comune dissestato e ormai privo di qualunque capacità amministrativa a causa del non governo del “sindaco a distanza” Luigi de Magistris, come la ridicola vicenda della “chiusura sospesa” dei lidi posillipini ha solo ribadito, è per forza di cose più vulnerabile.
I candidati a sindaco, tutti, dovrebbero perciò affrontare di petto la questione delle liste e non farsi trascinare in coalizioni all’ammesca francesca, ingovernabili mercatini del baratto e dell’usato magari guidati da capibastone nazionali in cerca disperata di visibilità. Il prossimo sindaco deve restituire dignità alla propria funzione e alla città, senza rincorrere né la demagogia locale delle magliette o dei parenti di Maradona né quella globale dell’amministratore della porta accanto, sempre “alla mano” e in maniche di camicia. «Chiamatemi Ismaele» è l’esordio memorabile della lotta tra il capitano Achab e la grande balena bianca; «chiamatemi Gaetano» nasconde invece un eccesso di normalità che a Napoli occorrerebbe evitare.
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